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- Interventi chirurgici prima della scoperta degli IPP
- Gli IPP, caratteristiche e Linee Guida
- Effetti Collaterali comuni ed Effetti Collaterali nelle terapie di lungo corso
- Ruolo del farmacista, consigli e possibili terapie sostitutive
- Interventi chirurgici prima della scoperta degli IPP
Gli interventi di gastro-resezione sono relativamente recenti, risalgono infatti alla fine del XIX sec. e più precisamente al 1889 ad opera del chirurgo tedesco Theodor Bilroth, che per primo intervenne asportando un tumore al piloro. Le difficoltà a compiere, in tempi più antichi, interventi di questo genere risiedevano principalmente nell’assenza di anestetici e disinfettanti e la mancanza di antibiotici ha impedito per molto tempo di poter intervenire in caso di sepsi post-operatoria.
Nel XX sec, però, le migliori tecniche operatorie e il sopraggiungere di sempre nuove terapie antibiotiche ha reso sempre più comune l’intervento sullo stomaco, in particolar modo nella Patologia Peptica Ulcerosa, che non rendeva necessario di andare oltre la gastro resezione totale, indispensabile invece nel caso di un tumore. L’intervento chirurgico divenne così frequente, da farlo diventare uno dei più numerosi interventi di chirurgia interna, fino alla fine degli anni ’60. In realtà, alla gastro-resezione si affiancò dagli anni ’40 la vagotomia, ossia la sezione dei nervi Vaghi della mucosa gastrica, responsabili dell’attivazione delle ghiandole secernenti l’acido cloridrico.
Tali tecniche, indispensabili nella Malattia Ulcerosa, venivano ampiamente utilizzate in modo indiscriminato in tutte le forme di ulcera gastrica. Qui diventa indispensabile fare una prima forma di diagnosi differenziale. Le ulcere, a livello gastrico e duodenale, sono dovute, come ragione ultima, all’aggressione dell’acido cloridrico, prodotte da ghiandole secernenti in alcune zone dello stomaco.
La produzione acida è indispensabile per poter digerire i cibi ingeriti e per attivare gli enzimi digestivi secreti nello stomaco stesso. Vera causa dell’ulcera gastrica è, nella maggior parte dei casi l’assottigliamento dello strato mucoso protettivo, mentre nel caso delle ulcere duodenali la causa principale risiede in un troppo rapido passaggio attraverso il piloro del bolo alimentare, portando l’introduzione di una notevole quantità di acidità in una zona meno protetta dalla struttura mucosa. Un ragionamento analogo, si può fare, per i danni prodotti dal fenomeno del reflusso (incontinenza del Cardias) nella zona dell’esofago e via via su, fino alla faringe. Il più delle volte, tali ulcerazioni si autoriparano con il tempo senza alcun intervento chirurgico e solo raramente diventano perforanti, andando incontro a fenomeni di tipo canceroso.
Tutto ciò, però, non sempre è dovuta alla Patologia Ulcerosa, con i suoi fenomeni di quiescenza e di recrudescenza stagionali, ma può essere provocata da stili di vita o da stili alimentari sbagliati o da violenti sbalzi adrenergici o di cortisolo o dall’utilizzo di farmaci in modo non protetto od autosomministrati senza un adeguato controllo.
Negli anni ’70, con la sintesi della Cimetidina (inibitrice della sintesi dei recettori H2) e successivamente dell’Omeprazolo (capostipite degli Inibitori delle Pompe Protoniche), gli interventi gastrici, atti a prevenire le ulcere andarono rapidamente a scomparire, per restare isolati a rarissimi fenomeni di farmacoresistenza e gli interventi gastrici sono oggi, per lo più, dovuti a terapie anti-obesità.
- Gli IPP, caratteristiche e Linee Guida
Gli Inibitori delle Pompe Protoniche sono oggi “universalmente” chiamati gastroprotettori. Tale nome risulta essere talmente rassicurante da venir spontaneamente richiesto da moltissimi pazienti per qualunque tipo di terapia essi debbano svolgere. Capita di frequente di sentirsi richiedere durante una terapia antibiotica un gastroprotettore, non richiesto dal medico, ma auto prescritto, al posto di una terapia a base di fermenti lattici. Inutile dirci che di fronte ad un intestino già danneggiato nella sua flora intestinale dalla terapia antibiotica, eliminare anche la difesa ad un’aggressione patogena proveniente da alimenti crudi dell’unica difesa prodotta dalla sterilizzazione gastrica, porta come inevitabile conseguenza ad una gastroenterite.
Fra i primi trenta principi attivi prescritti in Italia (in classe A), almeno la metà sono Ipp; al primo posto c’è il pantoprazolo, al quarto il lansoprazolo, al quinto l’omeprazolo, all’ottavo l’esomeprazolo.
La sperimentazione, condotta sugli IPP per proteggere lo stomaco da fenomeni ulcerativi è stata un grandissimo successo della scienza farmacologica.
L’enorme utilizzo di tali farmaci porta, come inevitabile conseguenza, un numero elevatissimo di effetti collaterali segnalati in fase 4, anche per assunzione a breve termine: costipazione, aerofagia, mal di testa, nausea, vomito, battito cardiaco irregolare, capogiri, convulsioni, diarrea e feci liquide, difficoltà a respirare o difficoltà a deglutire, febbre, gonfiori di volto, gola, lingua, labbra, occhi, mani, piedi, caviglie o polpacci, mal di stomaco, orticaria, prurito, rash, raucedine, sensazione di avere la testa leggera, spasmi muscolari, stanchezza eccessiva, tremori incontrollabili.
Un numero crescente di studi clinici di tipo epidemiologici, ha messo in guardia non solo da un utilizzo off label di questa classe di prodotti, ma anche da un uso prescrittivo inappropriato, con ricadute di effetti collaterali a lungo termine non studiati in fase di registrazione del farmaco.
Spesso gli IPP vengono prescritti per periodi maggiori alle 8 settimane, per cui erano stati studiati e registrati al di fuori dell’Appropriatezza Terapeutica.
Ad esempio la maggior efficacia di IPP è stata riscontrata assumendoli 20 – 30 minuti prima di colazione, con l’introduzione successiva di un adeguato quantitativo di proteine, necessaria alla stimolazione della secrezione acida e la conseguente attivazione degli IPP, che sono un profarmaco! La permanenza dell’azione farmacologica resta a quel punto per oltre 24 ore. L’assunzione di una seconda dose serale non risulta essere pertanto razionale. Nei pazienti in cui risulta inefficace l’utilizzo degli IPP andrebbero invece associati terapie add-on a base di alginati.
In pazienti affetti da semplice dispepsia (ad esclusione di concomitante dolore epigastrico), questa classe di farmaci potrebbe risultare controproducente, dato che la non attivazione degli enzimi digestivi può peggiorare i sintomi di una cattiva digestione.
Non sempre l’uso di FANS necessita la contemporanea assunzione di IPP, mai in modo preventivo e solo in soggetti di età superiore ai 65 anni o nei pazienti con precedente sanguinamento da ulcera peptica. Gli IPP non sono mai indicati nell’uso di corticosteroidi o nelle terapie farmacologiche multiple, in cui, il più delle volte sono addirittura controindicati, perché vengono assorbiti dagli stessi recettori o disattivati dagli stessi enzimi epatici.
L’utilizzo di antiaggreganti o anticoagulanti non è un motivo, se non associati a FANS, di utilizzare IPP. Eccezione fa l’utilizzo cronico di acido acetilsalicilico in pazienti ultrasettantacinquenni, in cui il rischio di sanguinamento con esito potenzialmente mortale supera nettamente i rischi da IPP.
Bisogna prestare grandissima attenzione all’utilizzo di IPP in quei soggetti con danni epatici o renali (in quest’ultimo caso vi è un aumento statisticamente rilevante di patologia renale cronica). Un terzo delle persone sono ipersensibili agli IPP e manifestano da subito danni renali acuti, è bene comunque misurare la creatininemia anche un mese dopo l’inizio del trattamento: se è alterata si deve sospendere il medicinale! (JAMA Internal Medicine).
La non sterilizzazione del cibo assunto a livello gastrico può essere la causa di un accertato aumento di casi di Clostridium difficile (una vasta metanalisi su 23 studi e 272.636 pazienti dimostra che l’impiego di IPP si associa ad un aumento del 69% del rischio relativo in soggetti che li assumono contemporaneamente agli antibiotici) con aumentata morbilità e mortalità. Un’altra metanalisi ha dimostrato che l’uso di PPI si associa anche ad un aumentato rischio di altre infezioni intestinali; tra le più frequenti quella da Campylobacter e da Salmonella. La variazione di Ph gastrico è causa di un aumento di casi di Helicobacter Pylori. Questi batteri possono essere causa di un aumento di rischio di tumori a livello gastro-intestinale (come afferma una pubblicazione dell’Istituto Mario Negri). Una metanalisi su 23 studi randomizzati e controllati e su 8 studi non randomizzati ha dimostrato che gli IPP sarebbero associati anche ad un aumentato rischio (+27%) di polmonite.
L’inattivazione della digestione gastrica produce fenomeni di malassorbimento di alcuni elementi essenziali, quali Ca (con aumentato rischio di osteoporosi), Fe non Eme già dopo due mesi di trattamento, Vit. B12 (dopo due anni di trattamento vi è un aumento del rischio di deficit di tale vitamina dell’83%) e Mg (dopo 5 anni si può arrivare ad ipomagnesemia grave, con possibile comparsa di fenomeni di tetania, convulsioni ed aritmia).
Problemi cardiaci si sono riscontrati nei soggetti che utilizzano il clopidogrel, come antiaggregante, dato che quest’ultimo viene distrutto più rapidamente dal fegato per un effetto di induzione enzimatica. Le interazioni farmacologiche degli IPP riguardano in realtà un gran numero di sostanze, interferendo con il metabolismo di antifungini, farmaci tiroidei, chemioterapici quali il Metotrexate, antiretrovirali, anticoagulanti, antiepilettici, antidepressivi, antibiotici, cardiotonici ecc.
Un vasto studio osservazionale della Danish Heart Foudation correla l’uso ad un aumento del 21% del rischio di ictus ischemico (ma per il pantoprazolo il rischio sarebbe di un incredibile + 94%)! Il rischio che emerge forte e chiaro nei soggetti in trattamento con i dosaggi più elevati.
Uno studio osservazionale su dati provenienti dal German Study on Aging, Cognition and Dementia in Primary Care Patients, ha dimostrato che l’uso di PPI si associa ad un’aumentata incidenza di tutte le forme di demenza (+ 38%) e soprattutto di Alzheimer (+ 44%).
Per questi dati, sono seguite le indicazioni canadesi sulle modalità di deprescrizione degli IPP: consigliano di deprescrivere gli IPP in adulti che hanno completato un minimo di 4 settimane di IPP per il trattamento del bruciore di stomaco o reflusso gastroesofageo o esofagite, da lieve a moderato, i cui sintomi sono risolti. Sulla riduzione del dosaggio specie nelle terapie a lungo termine ci viene incontro il principio di precauzione visto che è buona pratica clinica usare il dosaggio efficace più basso possibile; ciò principalmente per evitare un pesante effetto negativo sull’assorbimento intestinale e sulla metabolizzazione epatica di diverse sostanze, vitamine, oligoelementi o farmaci in terapia attuale o futura. Pertanto, in soggetti ultra 65enni in terapia cronica con antiaggreganti senza altri fattori di rischio e asintomatici sarebbe opportuno usare i dosaggi più bassi dei vari PPI.
Se si interrompe la terapia con IPP dopo un trattamento superiore ai due mesi, si assiste ad un fenomeno di rimbalzo dovuta agli elevati livelli di gastrina e di cromogranina A. Questa ipersecrezione acida di “rimbalzo” richiede dunque di scalare gradualmente l’uso degli IPP.
Tito Piccioni
Commissione Scientifica MondoFarmacia